La Corte di Giustizia Europea ha condannato l'Italia per violazione delle norme sullo smaltimento dei rifiuti. Secondo la Corte non sono stati adottati tutti i provvedimenti necessari per garantire lo smaltimento dei rifiuti senza pericolo per la salute umana e per l’ambiente. Inoltre la Corte ha censurato la circostanza che in Italia gli adempimenti legali dettati in tema di discariche, requisiti per le imprese autorizzate a smaltire, identificazione, controllo e catalogazione dei rifiuti avvengano senza un effettivo controllo pubblico.Nel mirino sono finite in particolare 4.866 discariche, chiamate "abusive" dagli organi di stampa. Alla Puglia la maglia nera con 599 siti riscontrati. Il dettaglio nelle regioni a statuto ordinario: Abruzzo (361), Basilicata (152), Calabria (447), Campania (225), Emilia Romagna (380), Lazio (426), Liguria (305), Lombardia (541), Marche (244), Molise (84), Piemonte (335), Puglia (599), Toscana (436), Umbria (157), Veneto (174).
Qui di seguito due interessanti articoli, il primo apparso su Ilsole24ore.it e l'altro su Stampa.it
26 aprile 2007
La Corte Ue condanna l'Italia per inadempienze nella gestione dei rifiuti
di Nicoletta Cottone
Il Belpaese sommerso e affondato dai rifiuti: l’Italia è stata condannata dalla Corte di giustizia europea per inadempienze nella gestione dei rifiuti. Il nostro Stato, secondo la sentenza C-135/05, non ha assicurato il recupero e lo smaltimento dei rifiuti senza pericoli per la salute dell’uomo, senza usare metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e non ha vietato l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti. E, ancora, non ha controllato affinché i rifiuti fossero raccolti correttamente, non ha vigilato sulla proliferazione delle discariche abusive, non ha fatto chiudere quelle senza autorizzazione o autorizzato i necessari lavori per continuare a farle funzionare, non ha prestato attenzione al fatto che i rifiuti pericolosi posti in discarica fossero identificati e catalogati. Anche sulle discariche autorizzate non ha vigilato sui piani di riassetto. Una debacle completa che arriva proprio quando i ministri dell’Ambiente Pecoraio Scanio e della Funzione pubblica Luigi Nicolais sono pronti a fornire a Regioni ed enti locali le linee guida, in base ai suggerimenti della Commissione, per le migliori tecnologie di gestione e smaltimento rifiuti. Quattro i campi d'intervento: innanzitutto, l'istituzione di un inventario dei potenziali rifiuti solidi urbani di cui si vieta l'uso su tutto il territorio nazionale o di cui le Regioni possono vietare l'uso per tempi indefiniti o determinati. Poi l'introduzione di una efficace tassa di smaltimento anticipata per poche categorie selezionate di rifiuti come le stoviglie monouso. Si prevede anche la restituzione obbligatoria del rifiuto e infine incentivi fiscali per l'uso di materiali facilmente riciclabili e compostabili.
L’indagine della Commissione europea che ha portato all’apertura del ricorso della Commissione contro la Repubblica italiana aveva preso il via da una serie di interrogazioni parlamentari e articoli di stampa e dalla pubblicazione del rapporto del Corpo forestale dello Stato sull’emergenza discariche abusive. La Commissione europea decise nel 2002 di controllare l’osservanza dell’Italia agli obblighi imposti dalle direttive europee 75/442, 91/689 e 1999/31. I dati rilevati sono sconcertanti: un primo censimento del 1986 aveva censito 5.978 discariche illegali, un secondo del 1996 ne aveva rilevate 5.422. Dopo il censimento del 2002 il Corpo forestale ha catalogato 4.866 discariche illegali, di cui 1.765 non figuravano in studi precedenti. Di queste ben 705 contenevano rifiuti pericolosi, mentre le discariche autorizzate risultavano solo 1.420. Nel 2003 la Commissione non ottenendo dalle autorità italiane informazioni che segnalassero la fine degli inadempimenti addebitati si rivolse alla Corte di giustizia europea chiedendo che l’Italia fosse dichiarata inadempiente rispetto agli obblighi derivanti dalle direttive 75/442 e 91/156. Alla scadenza del termine fissato, infatti, era palese che in Italia ci fossero un «numero considerevole di discariche» nelle quali i gestori non avevano garantito il riciclaggio o lo smaltimento dei rifiuti e un «considerevole numero» di siti di smaltimento incontrollato dei rifiuti. Il Governo italiano ha ammesso l’esistenza di almeno 700 discariche abusive con rifiuti pericolosi, nei quali l’obbligo di identificazione e catalogazione non era stato rispettato e che 747 discariche avrebbero dovuto costituire un piano di riassetto (i piani erano stati presentati da 551 discariche, ma solo 131 erano stati approvati). L’Italia, inoltre, segnalano i giudici europei, non ha precisato quali fossero le azioni messe in atto per le discariche i cui piani di riassetto non erano stati approvati.
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Norme%20e%20Tributi/2007/04/sentenza-rifiuti.shtml?uuid=55fa853e-f3d9-11db-b9cd-00000e251029&type=Libero
La Corte europea condanna l'Italia
per le discariche abusive
STRASBURGO La Corte di giustizia europea ha condannato ieri l’Italia per la violazione di tre direttive comunitarie sullo smaltimento dei rifiuti, sui rifiuti pericolosi e sull’autorizzazione e gestione delle discariche (direttive 75/442, 91/689 e 1999/31). La Corte ha dato ragione alla Commissione europea, che nel 2003 aveva aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia per la presenza, sul suo territorio, di un alto numero di discariche abusive, o di siti contenenti rifiuti pericolosi non adeguatamente incontrollati, nonché di altri siti che, sebbene autorizzati, non garantiscono il riciclaggio o lo smaltimento dei rifiuti conformemente alle direttive Ue. Per la Corte di Giustizia, la Repubblica italiana è venuta meno, «in modo generale e persistente», agli obblighi imposti dalle tre direttive. In particolare, non sono stati adottati tutti i provvedimenti necessari per garantire il rispetto dell’obbligo generale che lo smaltimento dei rifiuti avvenga senza pericolo per la salute umana e per l’ambiente, e gli adempimenti (per lo più amministrativi) per esigere che lo smaltitore sia un’impresa autorizzata e che i rifiuti pericolosi siano identificati, catalogati e posti sotto controllo. La causa, iniziata nel 2005, si riferisce alla situazione esistente fino al 2003, e riporta i dati dei censimenti delle discariche condotti dal Corpo forestale dello Stato nel 1986, 1996 e 2002, più un rapporto successivo di verifica. In quest’ultima verifica, effettuata dopo il 2002, la stessa Forestale aveva ancora catalogato 4.866 discariche illegali, 1.765 delle quali non figuravano nei precedenti censimenti. Tra questi siti abusivi, 705 contenevano rifiuti pericolosi, mentre le discariche autorizzate erano soltanto 1.420. Durante il procedimento iniziato dalla Commissione, il governo italiano ha ammesso l’esistenza sul suo territorio di almeno 700 discariche abusive contenenti rifiuti pericolosi, che non sono stati sottoposti ad alcuna misura di controllo. In questo caso, l’Italia ha violato l’obbligo comunitario di catalogare e identificare tutti i rifiuti pericolosi. Il governo, inoltre, ha segnalato esso stesso che 747 discariche avrebbero dovuto costituire oggetto di un piano di riassetto, che i piani sono stati presentati solo per 551 siti e che solo 131 sono stati approvati dalle autorità competenti, senza precisare quali azioni fossero state intraprese riguardo alle discariche «bocciate». È lungo l’elenco di provvedimenti rispetto ai quali l’Italia è stata giudicata inadempiente. In particolare, il governo avrebbe dovuto: assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente; vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti; imporre la regolare consegna dei rifiuti ad un raccoglitore privato o pubblico - o a un’impresa che effettua le operazioni di smaltimento o di recupero - autorizzato dall’autorità competente; garantire che i rifiuti pericolosi messi in discarica siano catalogati e identificati. Inoltre, l’Italia non ha rispettato il programma comunitario per mettere tutte le discariche sotto il controllo dell’autorità pubblica, che riguardava i gestori dei siti di smaltimento in funzione nel luglio 2001. Questi ultimi avrebbero dovuto elaborare e presentare entro il luglio 2002 dei «piani di riassetto». In base a questi piani, le autorità competenti avrebbero dovuto decidere se autorizzare la continuazione dell’attività della discarica interessata, e se indicare, in questo caso, le misure correttive eventualmente ritenute necessarie. In caso di non autorizzazione del piano di riassetto, la discarica avrebbe dovuto cessare immediatamente di funzionare, a meno che le stesse autorità non avessero approvato un piano di transizione per la realizzazione dei lavori necessari a mettersi in regola. Dopo la condanna della Corte, l’Italia ha l’obbligo di mettersi in regola. In caso contrario, la Commissione europea può chiedere una seconda condanna per inadempimento, assortita di pesantissime multe giornaliere commisurate alla gravità delle infrazioni e alla durata delle inadempienze. La Corte sostiene generalmente, in questi casi, la posizione della Commissione.
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/ambiente/grubrica.asp?ID_blog=51&ID_articolo=220&ID_sezione=76&sezione=
Questo il testo integrale della sentenza
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SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)
26 aprile 2007 (*)
«Inadempimento di uno Stato – Gestione dei rifiuti – Direttive 75/442/CEE, 91/689/CEE e 1999/31/CE»
Nella causa C‑135/05,
avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 22 marzo 2005,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla sig.ra D. Recchia e dal sig. M. Konstantinidis, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. Fiengo, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta dal sig. A. Rosas, presidente di sezione, dai sigg. J. Kluèka (relatore), U. Lõhmus, A. Ó Caoimh e dalla sig.ra P. Lindh, giudici,
avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro
cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 gennaio 2007,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con il suo ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di constatare che, non avendo adottato tutti i provvedimenti necessari:
– per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti;
– affinché ogni detentore di rifiuti li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettua le operazioni di smaltimento o di recupero, oppure provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento conformandosi alle disposizioni della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32; in prosieguo: la «direttiva 75/442»);
– affinché tutti gli stabilimenti o le imprese che effettuano operazioni di smaltimento siano soggetti ad autorizzazione dell’autorità competente;
– affinché in ogni luogo in cui siano depositati (messi in discarica) rifiuti pericolosi, questi ultimi siano catalogati e identificati; e
– affinché, in relazione alle discariche che hanno ottenuto un’autorizzazione o erano già in funzione alla data del 16 luglio 2001, il gestore della discarica elabori e presenti per l’approvazione dell’autorità competente, entro il 16 luglio 2002, un piano di riassetto della discarica comprendente le informazioni relative alle condizioni per l’autorizzazione e le misure correttive che ritenga eventualmente necessarie; e affinché, in seguito alla presentazione del piano di riassetto, le autorità competenti adottino una decisione definitiva sull’eventuale proseguimento delle operazioni, facendo chiudere al più presto le discariche che non ottengano l’autorizzazione a continuare a funzionare, o autorizzando i necessari lavori e stabilendo un periodo di transizione per l’attuazione del piano,
la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 4, 8 e 9 della direttiva 75/442, dell’art. 2, n. 1, della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi (GU L 377, pag. 20), e dell’art. 14, lett. a)‑c), della direttiva del Consiglio 26 aprile 1999, 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti (GU L 182, pag. 1).
Contesto normativo
La direttiva 75/442
2 L’art. 4 della direttiva 75/442 prevede quanto segue:
«Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente (…)
(…)
Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti».
3 L’art. 8 della direttiva 75/442 impone agli Stati membri di adottare le disposizioni necessarie affinché ogni detentore di rifiuti li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettua le operazioni previste nell’allegato II A o II B di tale direttiva, oppure provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento, conformandosi alle disposizioni di detta direttiva.
4 L’art. 9, n. 1, della direttiva 75/442 dispone che, ai fini dell’applicazione, in particolare, dell’art. 4 della stessa direttiva, tutti gli stabilimenti o le imprese che effettuano le operazioni di smaltimento di rifiuti debbono ottenere l’autorizzazione dell’autorità competente incaricata di attuare le disposizioni di tale direttiva. L’art. 9, n. 2, precisa che dette autorizzazioni possono essere concesse per un periodo determinato, essere rinnovate, essere accompagnate da condizioni e obblighi, o essere rifiutate segnatamente quando il metodo di smaltimento previsto non è accettabile dal punto di vista della protezione dell’ambiente.
La direttiva 91/689
5 L’art. 2 della direttiva 91/689 così dispone:
«1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie per esigere che in ogni luogo in cui siano depositati (messi in discarica) rifiuti pericolosi, questi ultimi siano catalogati e identificati.
(…)».
La direttiva 1999/31
6 Ai sensi dell’art. 14, lett. a)‑c), della direttiva 1999/31:
«Gli Stati membri adottano misure affinché le discariche che abbiano ottenuto un’autorizzazione o siano già in funzione al momento del recepimento della presente direttiva possano rimanere in funzione soltanto se (...)
a) entro un anno dalla data prevista nell’articolo 18, paragrafo 1 [vale a dire entro il 16 luglio 2002], il gestore della discarica elabora e presenta all’approvazione dell’autorità competente un piano di riassetto della discarica comprendente le informazioni menzionate nell’articolo 8 e le misure correttive che ritenga eventualmente necessarie al fine di soddisfare i requisiti previsti dalla presente direttiva, fatti salvi i requisiti di cui all’allegato I, punto 1;
b) in seguito alla presentazione del piano di riassetto, le autorità competenti adottano una decisione definitiva sull’eventuale proseguimento delle operazioni in base a detto piano e alla presente direttiva. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per far chiudere al più presto, a norma dell’articolo 7, lettera g), e dell’articolo 13, le discariche che, in forza dell’articolo 8, non ottengono l’autorizzazione a continuare a funzionare;
c) sulla base del piano approvato, le autorità competenti autorizzano i necessari lavori e stabiliscono un periodo di transizione per l’attuazione del piano. Tutte le discariche preesistenti devono conformarsi ai requisiti previsti dalla presente direttiva, fatti salvi i requisiti di cui all’allegato I, punto 1, entro otto anni dalla data prevista nell’articolo 18, paragrafo 1 [ossia entro il 16 luglio 2009]».
7 Ai sensi dell’art. 18, n. 1, della detta direttiva, gli Stati membri adottano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla stessa entro due anni a decorrere dalla sua entrata in vigore [vale a dire, entro il 16 luglio 2001] e ne informano immediatamente la Commissione.
Procedimento precontenzioso
8 A seguito di varie denunce, di interrogazioni parlamentari, di articoli di stampa, nonché della pubblicazione, avvenuta il 22 ottobre 2002, di un rapporto del Corpo forestale dello Stato (in prosieguo: il «CFS»), che evidenziava l’esistenza di un gran numero di discariche illegali e non controllate in Italia, la Commissione ha deciso di controllare l’osservanza da parte di detto Stato membro degli obblighi ad esso incombenti ai sensi delle direttive 75/442, 91/689 e 1999/31.
9 Tale rapporto completava la terza fase di un procedimento avviato nel 1986 dal CFS al fine di contabilizzare le discariche illegali nei territori boschivi e montagnosi delle Regioni a statuto ordinario in Italia (vale a dire la totalità delle regioni italiane, eccetto il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta). Un primo censimento, avvenuto nel 1986, aveva riguardato 6 890 degli 8 104 comuni italiani e aveva consentito al CFS di accertare l’esistenza di 5 978 discariche illegali. Un secondo censimento, effettuato nel 1996, aveva riguardato 6 802 comuni e aveva rivelato al CFS l’esistenza di 5 422 discariche illegali. Dopo il censimento del 2002, il CFS ha ancora catalogato 4 866 discariche illegali, 1 765 delle quali non figuravano nei precedenti studi. Secondo il CFS, 705 tra le dette discariche abusive contenevano rifiuti pericolosi. Per contro, il numero delle discariche autorizzate era soltanto di 1 420.
10 I risultati di quest’ultimo censimento sono riassunti dalla Commissione come segue:
Regione
|
Numero di discariche abusive
|
Superficie delle discariche abusive (m²)
|
Discariche attive/non attive
|
Discariche bonificate/non bonificate
|
Abruzzo
|
361
|
1 016 139
|
111 / 250
|
70 / 291
|
Basilicata
|
152
|
222 830
|
40 / 112
|
43 / 109
|
Calabria
|
447
|
1 655 479
|
81 / 366
|
19 / 428
|
Campania
|
225
|
445 222
|
40 / 185
|
37 / 188
|
Emilia Romagna
|
380
|
254 398
|
189 / 191
|
59 / 321
|
Lazio
|
426
|
663 535
|
120 / 306
|
110 / 316
|
Liguria
|
305
|
329 507
|
145 / 160
|
58 / 247
|
Lombardia
|
541
|
1 132 233
|
124 / 417
|
159 / 382
|
Marche
|
244
|
364 781
|
70 / 174
|
41 / 203
|
Molise
|
84
|
199 360
|
14 / 70
|
13 / 71
|
Piemonte
|
335
|
270 776
|
114 / 221
|
119 / 216
|
Puglia
|
599
|
3 861 622
|
440 / 159
|
37 / 562
|
Toscana
|
436
|
545 005
|
107 / 329
|
154 / 282
|
Umbria
|
157
|
71 510
|
33 / 124
|
61 / 96
|
Veneto
|
174
|
5 482 527
|
26 / 148
|
50 / 124
|
Totale
|
4 866
|
16 519 790
|
1 654 / 3 212
|
1 030 / 3 836
|
11 Benché i dati forniti dal CFS riguardino soltanto le quindici regioni italiane a statuto ordinario, la Commissione dichiara di voler perseguire, nel procedimento in esame, la Repubblica italiana per la totalità delle discariche abusive esistenti sul suo territorio. Infatti, la Commissione disporrebbe di informazioni da cui risulterebbe che la situazione è analoga nelle regioni a statuto speciale.
12 Detta istituzione rinvia, al riguardo, al piano di gestione dei rifiuti della Regione Siciliana, notificato alla Commissione il 4 marzo 2003 e al quale è allegato il piano di bonifica delle zone inquinate della regione in questione. Tale piano evidenzierebbe l’esistenza di numerose discariche abusive, di siti di rifiuti abbandonati, di depositi di rifiuti non autorizzati e di siti non specificati, di cui alcuni conterrebbero rifiuti pericolosi.
13 Lo stesso varrebbe per le Regioni Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Sardegna, in relazione alle quali la Commissione completa la descrizione della situazione complessiva in Italia mediante documenti ufficiali provenienti dalle autorità di dette regioni e mediante rapporti delle commissioni parlamentari di inchiesta, nonché attraverso articoli di stampa.
14 A titolo di esempio, la Commissione menziona una discarica situata nella località «Cascina Corradina» nel comune di San Fiorano, che inizialmente ha costituito oggetto di un procedimento distinto, successivamente riunito al procedimento in esame ai fini del ricorso dinanzi alla Corte.
15 In base a tutte queste informazioni la Commissione, conformemente all’art. 226 CE, con lettera dell’11 luglio 2003, ha invitato il governo italiano a presentare le sue osservazioni a tale riguardo.
16 Non avendo ottenuto dalle autorità italiane alcuna informazione che consentisse di concludere che era stato posto fine agli inadempimenti addebitati, la Commissione, con lettera del 19 dicembre 2003, ha emanato un parere motivato, invitando la Repubblica italiana ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi ad esso entro due mesi dalla sua notifica.
17 La Commissione non ha ricevuto alcuna risposta al detto parere motivato. Di conseguenza, essa ha proposto il ricorso in esame.
Sul ricorso
Sulla ricevibilità
18 Il governo italiano sostiene che il ricorso della Commissione dovrebbe essere dichiarato irricevibile a causa della genericità e dell’indeterminatezza dell’inadempimento addebitato, che impedirebbe a detto governo di presentare una difesa precisa tanto in fatto quanto in diritto. In particolare, la Commissione non avrebbe individuato i detentori o i gestori delle discariche né i proprietari dei siti sui quali i rifiuti sono stati abbandonati.
19 La Commissione ritiene, per contro, di poter esaminare, in un unico procedimento, la questione dello smaltimento dei rifiuti sulla totalità del territorio italiano. Siffatto approccio, da essa qualificato «orizzontale», consentirebbe, da un lato, di individuare e di correggere più efficacemente i problemi strutturali sottesi all’asserito inadempimento della Repubblica italiana e, dall’altro, di alleggerire i sistemi di controllo del rispetto del diritto comunitario in materia ambientale. A questo proposito, la Commissione rinvia alle conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed, relative alla causa C‑494/01, Commissione/Irlanda (sentenza 26 aprile 2005, Racc. pag. I‑3331).
20 Anzitutto, occorre evidenziare che, fatto salvo l’obbligo della Commissione di soddisfare l’onere della prova gravante su di essa nell’ambito della procedura prevista dall’art. 226 CE, il Trattato CE non contiene alcuna norma che si opponga all’esame complessivo di un numero rilevante di situazioni, in base alle quali la Commissione ritenga che uno Stato membro sia stato inadempiente, in modo ripetuto e prolungato, agli obblighi ad esso incombenti ai sensi del diritto comunitario.
21 Si desume poi da costante giurisprudenza che una prassi amministrativa può costituire oggetto di un ricorso per inadempimento, qualora risulti in una certa misura costante e generale (v., specificamente, sentenza Commissione/Irlanda, cit., punto 28 e giurisprudenza ivi citata).
22 Infine, occorre ricordare che la Corte ha già dichiarato ricevibili ricorsi della Commissione proposti in contesti analoghi, in cui quest’ultima deduceva precisamente una violazione strutturale e generalizzata degli artt. 4, 8 e 9 della direttiva 75/442 da parte di uno Stato membro (sentenza 6 ottobre 2005, causa C‑502/03, Commissione/Grecia, non pubblicata nella Raccolta) e una violazione di tali medesimi articoli, nonché dell’art. 14 della direttiva 1999/31 (sentenza 29 marzo 2007, causa C‑423/05, Commissione/Francia, non pubblicata nella Raccolta).
23 Di conseguenza, il ricorso della Commissione è ricevibile.
Nel merito
Sull’onere della prova
24 Il governo italiano sostiene che le fonti di informazione sulle quali la ricorrente fonda il suo ricorso sarebbero prive di credibilità in quanto, da un lato, i rapporti del CFS non sono stati elaborati in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio, che sarebbe l’unica autorità nazionale competente rispetto all’ordinamento giuridico comunitario, e, dall’altro, gli atti delle commissioni parlamentari di inchiesta o gli articoli di stampa costituirebbero non confessioni, ma soltanto fonti generiche di prova, la cui fondatezza dev’essere dimostrata da chi le invoca.
25 La Commissione, al contrario, considera che i rapporti elaborati dal CFS costituiscono una fonte di informazioni affidabili e privilegiate in materia ambientale. Infatti, il CFS costituirebbe una forza di polizia dello Stato ad ordinamento civile che ha il compito, in particolare, di difendere il patrimonio forestale italiano, di tutelare l’ambiente, il paesaggio e l’ecosistema, nonché di esercitare attività di polizia giudiziaria al fine di vigilare sul rispetto delle normative nazionali e internazionali in materia.
26 A tale riguardo si deve ricordare che, nell’ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, spetta alla Commissione provare la sussistenza dell’asserito inadempimento. Ad essa spetta fornire alla Corte gli elementi necessari affinché questa accerti l’esistenza di siffatto inadempimento, senza potersi basare su alcuna presunzione (sentenza 25 maggio 1982, causa 96/81, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. 1791, punto 6).
27 Tuttavia, gli Stati membri sono tenuti, a norma dell’art. 10 CE, ad agevolare la Commissione nello svolgimento del suo compito, che consiste, in particolare, ai sensi dell’art. 211 CE, nel vigilare sull’applicazione delle norme del Trattato, nonché delle disposizioni adottate dalle istituzioni in forza dello stesso Trattato (sentenza Commissione/Irlanda, cit., punto 42 e giurisprudenza ivi citata).
28 In una simile prospettiva, si deve tener conto del fatto che, nel verificare la corretta applicazione pratica delle disposizioni nazionali destinate a garantire la concreta attuazione della direttiva, tra cui quelle adottate nel settore dell’ambiente, la Commissione, che non dispone di propri poteri di indagine in materia, dipende in ampia misura dagli elementi forniti da eventuali denuncianti, da organizzazioni private o pubbliche attive sul territorio dello Stato membro interessato, nonché da questo stesso Stato membro (v., in tal senso, sentenza Commissione/Irlanda, cit., punto 43 e giurisprudenza ivi citata).
29 A tal riguardo, i rapporti elaborati dal CFS e da commissioni parlamentari d’inchiesta o documenti ufficiali provenienti, in particolare, da autorità regionali possono essere considerati, quindi, come valide fonti d’informazione per l’avvio, da parte della Commissione, del procedimento di cui all’art. 226 CE.
30 Ne discende, in particolare, che, quando la Commissione ha fornito elementi sufficienti a far emergere determinati fatti verificatisi sul territorio dello Stato membro convenuto, spetta a quest’ultimo confutare in modo sostanziale e dettagliato i dati forniti dalla Commissione e le conseguenze che ne derivano (sentenza Commissione/Irlanda, cit., punto 44 e giurisprudenza ivi citata).
31 In simili circostanze, infatti, spetta innanzi tutto alle autorità nazionali effettuare i controlli in loco necessari, in uno spirito di cooperazione leale, conformemente al dovere di ogni Stato membro, ricordato al punto 27 della presente sentenza, di facilitare l’adempimento del compito generale della Commissione (sentenza Commissione/Irlanda, cit., punto 45 e giurisprudenza ivi citata).
32 Pertanto, quando la Commissione si richiama a denunce circostanziate, dalle quali emergono ripetuti inadempimenti alle disposizioni della direttiva, spetta allo Stato membro interessato confutare in modo concreto i fatti affermati in tali denunce. Del pari, quando la Commissione ha fornito elementi sufficienti a far risultare che le autorità di uno Stato membro hanno posto in essere una prassi reiterata e persistente contraria alle disposizioni di una direttiva, spetta a tale Stato membro confutare in modo sostanziale e dettagliato i dati in tal modo forniti, nonché le conseguenze che ne derivano (sentenza Commissione/Irlanda, cit., punti 46 e 47, nonché giurisprudenza ivi citata). Tale obbligo incombe agli Stati membri in virtù del dovere di leale cooperazione, enunciato all’art. 10 CE, durante tutto il procedimento di cui all’art. 226 CE. Orbene, risulta dal fascicolo che le autorità italiane non hanno cooperato pienamente con la Commissione ai fini dell’istruzione della presente causa nella fase del procedimento precontenzioso.
Sulla violazione degli artt. 4, 8 e 9 della direttiva 75/442, dell’art. 2, n. 1, della direttiva 91/689 e dell’art. 14, lett. a)‑c), della direttiva 1999/31
– Argomenti delle parti
33 Per confutare le censure dedotte dalla Commissione, il governo italiano, fondandosi sulle informazioni che ha potuto ottenere presso le amministrazioni regionali, provinciali, nonché presso il Nucleo Operativo Ecologico dell’Arma dei Carabinieri, sostiene anzitutto che i dati forniti dalla Commissione sono inconsistenti e non corrispondono alla situazione reale in Italia. Esso contesta, in particolare, il numero di «discariche abusive» censite dalla Commissione in quanto quest’ultima, in primo luogo, avrebbe conteggiato talune discariche più volte, in secondo luogo, avrebbe qualificato come discariche abusive semplici depositi o siti con rifiuti in abbandono, di cui una parte starebbe per essere bonificata o in cui i rifiuti sarebbero già stati rimossi e, in terzo luogo, avrebbe travisato il loro grado di pericolosità, poiché la maggior parte di tali discariche sarebbe sotto controllo o sotto sequestro.
34 Il governo italiano ricorda, poi, i progressi recenti che la Repubblica italiana ha realizzato nell’attuazione degli obblighi derivanti dalle direttive 75/442, 91/689 e 1999/31.
35 La Commissione sostiene, in primo luogo, che il governo italiano non fornisce informazioni in senso contrario, provenienti da una fonte di livello paragonabile alle proprie. In secondo luogo, benché la Commissione prenda atto del fatto che i rifiuti sono stati rimossi da talune discariche, essa sostiene che le situazioni che stanno per essere regolarizzate sono in numero notevolmente minore di quelle per le quali le autorità nazionali non hanno avviato alcuna azione per rimediare al loro carattere abusivo.
– Giudizio della Corte
36 Anzitutto, risulta da giurisprudenza costante che l’esistenza di un inadempimento dev’essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi, quand’anche essi costituiscano un’attuazione corretta delle norme di diritto comunitario che sono oggetto del ricorso per inadempimento (v., in tal senso, sentenze 11 ottobre 2001, causa C‑111/00, Commissione/Austria, Racc. pag. I‑7555, punti 13 e 14; 30 gennaio 2002, causa C‑103/00, Commissione/Grecia, Racc. pag. I‑1147, punto 23; 28 aprile 2005, causa C‑157/04, Commissione/Spagna, non pubblicata nella Raccolta, punto 19; e 7 luglio 2005, causa C‑214/04, Commissione/Italia, non pubblicata nella Raccolta, punto 14).
37 Successivamente, per quanto riguarda più specificamente la valutazione della violazione da parte di uno Stato membro dell’art. 4 della direttiva 75/442, occorre ricordare che quest’ultimo prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente, senza peraltro precisare il contenuto concreto delle misure che devono essere adottate per assicurare tale obiettivo. Tuttavia, ciò non toglie che tale disposizione vincola gli Stati membri quanto all’obiettivo da raggiungere, pur lasciando agli stessi un potere discrezionale nella valutazione della necessità di tali misure (sentenza 9 novembre 1999, causa C‑365/97, Commissione/Italia, detta «San Rocco», Racc. pag. I‑7773, punto 67). Non è quindi possibile, in via di principio, dedurre direttamente dalla mancata conformità di una situazione di fatto agli obiettivi fissati all’art. 4 di tale direttiva che lo Stato membro interessato sia necessariamente venuto meno agli obblighi imposti da questa disposizione. Nondimeno, è pacifico che la persistenza di una tale situazione di fatto, in particolare quando comporta un degrado rilevante dell’ambiente per un periodo prolungato senza intervento delle autorità competenti, può rivelare che gli Stati membri hanno abusato del potere discrezionale che questa disposizione conferisce loro (sentenza San Rocco, cit., punti 67 e 68).
38 A tale riguardo, occorre constatare che la fondatezza delle censure addebitate alla Repubblica italiana risulta chiaramente dal fascicolo. Infatti, benché le informazioni fornite da tale governo abbiano permesso di constatare che il rispetto in Italia degli obiettivi previsti dalle disposizioni del diritto comunitario che costituiscono l’oggetto dell’inadempimento è migliorata nel corso del tempo, tali informazioni rivelano tuttavia che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, persisteva una generale mancanza di conformità delle discariche a siffatte disposizioni.
39 Per quanto riguarda la censura relativa alla violazione dell’art. 4 della direttiva 75/442, è pacifico che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, vi era sul territorio italiano un considerevole numero di discariche in cui i gestori non avevano garantito il riciclaggio o lo smaltimento dei rifiuti in modo tale da non mettere in pericolo la salute dell’uomo e da non utilizzare procedimenti o metodi che potessero recare pregiudizio all’ambiente, nonché un considerevole numero di siti di smaltimento incontrollato di rifiuti. A titolo d’esempio, come risulta dall’allegato 1 alla controreplica del governo italiano, quest’ultimo ha ammesso l’esistenza, constatata durante un controllo a livello locale a seguito del censimento effettuato dal CFS, di 92 siti interessati da abbandono di rifiuti nella Regione Abruzzo.
40 L’esistenza di una tale situazione per un periodo prolungato di tempo ha necessariamente per conseguenza un degrado rilevante dell’ambiente.
41 Quanto alla censura relativa alla violazione dell’art. 8 della direttiva 75/442, è accertato che, alla scadenza del termine impartito, le autorità italiane non hanno garantito che i detentori di rifiuti procedessero essi stessi allo smaltimento o al recupero dei rifiuti o li consegnassero ad un raccoglitore o ad un’impresa incaricata di effettuare tali operazioni, conformemente alle disposizioni della direttiva 75/442. A tale riguardo, risulta dall’allegato 3 alla controreplica del governo italiano che le autorità italiane hanno recensito almeno 9 siti con tali caratteristiche nella Regione Umbria e 31 nella Regione Puglia, in provincia di Bari.
42 Per quanto riguarda la censura relativa alla violazione dell’art. 9 della direttiva 75/442, non è contestato che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, numerose discariche erano in funzione senza aver ottenuto l’autorizzazione delle autorità competenti. Lo testimoniano, in particolare, così come risulta chiaramente dall’allegato 3 alla controreplica del governo italiano, i casi di abbandono di rifiuti già menzionati ai punti 39 e 41 della presente sentenza, ma anche la presenza di almeno 14 discariche abusive nella Regione Puglia, in provincia di Lecce.
43 Per quanto riguarda la censura relativa al fatto che le autorità italiane non hanno garantito la catalogazione o l’identificazione dei rifiuti pericolosi in ogni discarica o luogo in cui questi ultimi fossero depositati, ossia quella relativa alla violazione dell’art. 2 della direttiva 91/689, è sufficiente rilevare che il governo di detto Stato membro non presenta argomenti e prove specifiche al fine di contraddire le affermazioni della Commissione. In particolare, esso non nega l’esistenza sul suo territorio, al momento della scadenza del termine fissato nel parere motivato, di almeno 700 discariche abusive contenenti rifiuti pericolosi, che non sono quindi sottoposti ad alcuna misura di controllo. Ne consegue che le autorità italiane non possono conoscere il flusso di rifiuti pericolosi depositati in tali discariche e che, pertanto, l’obbligo di catalogarli ed identificarli non è stata rispettato.
44 Infine, ciò vale anche per la censura relativa alla violazione dell’art. 14 della direttiva 1999/31. Nella fattispecie, il governo italiano ha segnalato esso stesso che 747 discariche che si trovano sul proprio territorio nazionale avrebbero dovuto costituire oggetto di un piano di riassetto. Orbene, l’esame dell’insieme dei documenti forniti in allegato alla controreplica del governo italiano rivela che, alla scadenza del termine impartito, tali piani erano stati presentati solo per 551 discariche e che solo 131 piani erano stati approvati dalle competenti autorità. Peraltro, così come giustamente fa notare la Commissione, detto governo non ha precisato quali fossero le azioni intraprese per quanto riguarda le discariche i cui piani di riassetto non erano stati approvati.
45 Ne consegue che la Repubblica italiana è venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 4, 8 e 9 della direttiva 75/442, dell’art. 2, n. 1, della direttiva 91/689 e dell’art. 14, lett. a)‑c), della direttiva 1999/31. Di conseguenza, il ricorso della Commissione è fondato.
46 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre dichiarare che, non avendo adottato tutti i provvedimenti necessari:
– per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti;
– affinché ogni detentore di rifiuti li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettua le operazioni di smaltimento o di recupero, oppure provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento conformandosi alle disposizioni della direttiva 75/442;
– affinché tutti gli stabilimenti o le imprese che effettuano operazioni di smaltimento siano soggetti ad autorizzazione dell’autorità competente;
– affinché in ogni luogo in cui siano depositati (messi in discarica) rifiuti pericolosi, questi ultimi siano catalogati e identificati; e
– affinché, in relazione alle discariche che hanno ottenuto un’autorizzazione o erano già in funzione alla data del 16 luglio 2001, il gestore della discarica elabori e presenti per l’approvazione dell’autorità competente, entro il 16 luglio 2002, un piano di riassetto della discarica comprendente le informazioni relative alle condizioni per l’autorizzazione e le misure correttive che ritenga eventualmente necessarie; e affinché, in seguito alla presentazione del piano di riassetto, le autorità competenti adottino una decisione definitiva sull’eventuale proseguimento delle operazioni, facendo chiudere al più presto le discariche che non ottengano l’autorizzazione a continuare a funzionare, o autorizzando i necessari lavori e stabilendo un periodo di transizione per l’attuazione del piano,
la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 4, 8 e 9 della direttiva 75/442, dell’art. 2, n. 1, della direttiva 91/689 e dell’art. 14, lett. a)‑c), della direttiva 1999/31.
Sulle spese
47 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:
1) Non avendo adottato tutti i provvedimenti necessari:
– per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti;
– affinché ogni detentore di rifiuti li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettua le operazioni di smaltimento o di recupero, oppure provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento conformandosi alle disposizioni della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE;
– affinché tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano operazioni di smaltimento siano soggetti ad autorizzazione dell’autorità competente;
– affinché in ogni luogo in cui siano depositati (messi in discarica) rifiuti pericolosi, questi ultimi siano catalogati e identificati; e
– affinché, in relazione alle discariche che hanno ottenuto un’autorizzazione o erano già in funzione alla data del 16 luglio 2001, il gestore della discarica elabori e presenti per l’approvazione dell’autorità competente, entro il 16 luglio 2002, un piano di riassetto della discarica comprendente le informazioni relative alle condizioni per l’autorizzazione e le misure correttive che ritenga eventualmente necessarie; e affinché, in seguito alla presentazione del piano di riassetto, le autorità competenti adottino una decisione definitiva sull’eventuale proseguimento delle operazioni, facendo chiudere al più presto le discariche che non ottengano l’autorizzazione a continuare a funzionare, o autorizzando i necessari lavori e stabilendo un periodo di transizione per l’attuazione del piano,
la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 4, 8 e 9 della direttiva 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE, dell’art. 2, n. 1, della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi, e dell’art. 14, lett. a)‑c), della direttiva del Consiglio 26 aprile 1999, 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
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