INGRESSO DI RIFIUTI SPECIALI IN PUGLIA: LA NECESSITA' DI UNA LEGGE REGIONALE
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La principale causa
della proliferazione, nella provincia di Taranto come nel resto della
regione, di nuove discariche per rifiuti speciali pericolosi e non
pericolosi, spesso camuffate da cosiddetti “ampliamenti” di discariche
preesistenti, è rappresentata dalla assenza di disciplina e programmazione
in questa materia. E’ sotto gli occhi di tutti che le discariche per rifiuti speciali presenti nel nostro territorio vengono colmate in un modo sin troppo rapido e anomalo. Da qui: a) la cosiddetta “emergenza ambientale” che viene posta a fondamento di richieste di ulteriori discariche per rifiuti speciali; b) il sempre più ampio e intenso sfruttamento del “bene” ambiente. Se le discariche per rifiuti speciali che si autorizzano nel territorio pugliese continueranno ad “ospitare” - proprio per assenza di disciplina e programmazione -, rifiuti pericolosi e non pericolosi provenienti da ogni parte d’Italia e d’Europa, è facile immaginare che, non solo non usciremo mai dalla “emergenza ambientale”, ma si causeranno danni seri. Il piano regionale di gestione dei rifiuti vigente nella regione Puglia, approvato dal Commissario delegato per l’emergenza ambientale con decreto n. 41 del 6 marzo 2001, se può essere considerato un piano ben impostato (salvo alcuni aspetti perfettibili e da aggiornare) per quel che riguarda il settore dei rifiuti urbani, per quel che concerne il campo dei rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi espone il territorio regionale a una sorta di assurda deregulation. L’aspetto più critico di questo piano è dato dal fatto che in esso si dà per certo che non sarebbe possibile disciplinare l’ingresso nel territorio pugliese di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi indirizzati verso discariche site nel nostro territorio. Il redattore del piano pugliese, in particolare, partendo dal presupposto erroneo che queste peculiari tipologie di rifiuti sarebbero “merci” qualsiasi, sostiene, sbagliando, che l’eventuale disciplina del loro transito nel territorio regionale, violando il principio della libera circolazione delle merci, sarebbe perciò illegittima. Inoltre, la realizzazione di discariche per rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi – intesa, ancora erroneamente, solo come uno degli aspetti in cui si esplica la libera iniziativa economica -, viene sostanzialmente lasciata alla discrezionalità delle amministrazioni comunali (anche se poi è la provincia, ordinariamente, a rilasciare le autorizzazioni). E capita spesso che gli amministratori comunali, vuoi perché allettati dalle royalties che vengono proposte ai Comuni, vuoi perché deboli o comunque inadeguati a programmare con un profilo più alto l’attività dell’ente locale che amministrano, cedano a queste iniziative, svendendo così quel preziosissimo bene, che è l’ambiente, appartenente a quelle sfortunate comunità che si trovano ad essere incidentalmente amministrate in un modo così miope e superficiale. E può altresì capitare che questi amministratori comunali, “cedano” non una sola volta, ma due e persino tre volte, con continui pareri favorevoli alla realizzazione di cosiddetti “ampliamenti”. In realtà non è affatto vero che il settore dei rifiuti speciali sia abbandonato a questo laissez faire o laissez passer, immaginato probabilmente più dal redattore del piano regionale di gestione dei rifiuti che dal Commissario delegato per l’emergenza ambientale. Senza annoiare il paziente lettore nel riportare il contenuto di alcuni atti normativi, mi limito a ricordare che il regolamento CEE n. 259/93 del Consiglio del 1° febbraio 1993, la direttiva 75/442/CEE del 15 luglio 1975 come modificata dalla direttiva 91/156/CEE del 18 marzo 1991, il decreto legislativo n. 22/07 (il cosiddetto decreto “Ronchi”), ci dicono che disciplinare l’ingresso di rifiuti speciali extraregionali è non solo possibile, ma anche doveroso. La “libera circolazione dei rifiuti speciali” non può esserci non solo per ragioni perequative che impongono di far sopportare il “peso ambientale” dello smaltimento in discarica a quei territori che producono gli stessi rifiuti speciali destinati allo smaltimento, ma anche al fine di evitare quella pericolosa movimentazione dei rifiuti speciali che può causare danni seri all’ambiente e alla salute. In tal senso è attestata la stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea (ad esempio nella sentenza del 28 giugno 1994, causa C-187/93). E’ anche vero che non è possibile vietare sic et simpliciter l’ingresso nella regione Puglia di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi provenienti da altre regioni. E ciò anche perché, come ha più volte ribadito la Corte costituzionale, il principio di prossimità o di vicinanza che deve governare lo smaltimento dei rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, nel senso che essi devono essere smaltiti in luoghi prossimi a quelli di produzione, va contemperato con il principio di appropriatezza, inteso a sua volta nel senso che i rifiuti pericolosi e non pericolosi, per le loro caratteristiche peculiari, devono essere smaltiti in impianti di smaltimento appropriati. Può infatti eccezionalmente accadere che una regione, nel cui territorio si produca, attraverso una particolare attività industriale, una peculiare tipologia di rifiuto speciale, sia tuttavia priva di un impianto di smaltimento appropriato a quella stessa tipologia di rifiuto; impianto che, invece, può trovarsi in un’altra regione. E’ pertanto evidente che, potendosi verificare casi come questi, vietare puramente e semplicemente l’ingresso di rifiuti speciali di provenienza extraregionale sarebbe sicuramente illegittimo. Tuttavia, se vietare tout court non si può, ciò che invece sicuramente si può e si deve fare è disciplinare l’ingresso di rifiuti speciali extraregionali. In altri termini, ciò che è assolutamente necessario - e a maggior ragione ove si consideri che è stato recentemente prorogato, per l’ennesima volta, lo stato di emergenza ambientale nella regione Puglia -, è una revisione del piano regionale di gestione dei rifiuti o una legge regionale che disciplini finalmente l’ingresso dei rifiuti speciali extraregionali, consentendolo solo a determinate condizioni. Se per esempio pensiamo al fatto che in tutta Italia sono state censite 147 discariche di 2^ categoria di tipo “B” (oggi definite “per rifiuti non pericolosi”), non si vede perché le discariche per rifiuti speciali di 2^ categoria di tipo B site nel territorio pugliese (come ad esempio quelle di Grottaglie, Fragagnano, Bisceglie, Brindisi, Canosa di Puglia e Foggia), debbano necessariamente “ospitare” rifiuti speciali provenienti da tutta Italia o dagli altri Stati dell’Unione europea. Si potrebbe pertanto pensare a una disciplina che consenta l’ingresso di rifiuti speciali extraregionali destinati ad impianti di smaltimento siti nel territorio pugliese, solo a condizione che chi li produce e/o li trasporta, dimostri, anche attraverso certificati delle autorità extraregionali territorialmente competenti, di data non anteriore ad esempio a sei mesi, l’inesistenza o l’inoperatività, nei rispettivi territori di produzione o di provenienza dei rifiuti speciali, di discariche appropriate a smaltirli. Questa mi sembra possa essere una soluzione, se vogliamo non solo attuare concretamente i principi di prossimità e di appropriatezza nello smaltimento dei rifiuti speciali - rimasti per adesso solo sulla carta della normativa europea e statale -, ma, soprattutto, se vogliamo davvero curarci di noi stessi, della nostra salute e del nostro ambiente senza egoismi o rivendicazioni di campanile. Antonio Lupo
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